Sami Buhran (1929 - 2021) nasce ad Aleppo, in Siria, in una famiglia che coltiva gli studi religiosi. Il padre è il suo primo maestro e lo educa alla grafia islamica attraverso la quale arriverà al disegno. Professore alla Scuola Magistrale di Aleppo, nel 1954 visita l’Italia e la Francia, studiando grafica e frequentando diverse Accademie. Dagli anni Sessanta la sua carriera conosce una forte accelerazione con numerose mostre personali, fino all’invito di partecipazione alla Biennale di Venezia nel 1964. Dopo un periodo figurativo, che ritornerà a più riprese nella parabola produttiva dell’artista, si avventura nella pittura dell’alfabeto arabo che affronta con un vasto dinamismo di onde e di colori.
La scultura di Burhan deve molto a questa sua riflessione sulla grafia araba: opere trattate come icone, un marmo finemente scolpito che si consegna allo spettatore senza mai venire meno al principio di dinamismo, forza espressiva ed armonia. Un viaggio attraverso segni significanti, portatori di messaggi assoluti, di sentimenti semplici quanto primari: amore, pace, speranza.
“L’abbraccio” come contatto, ponte ideale tra le sue origini, la terra siriana e il mondo culturale occidentale, qui rappresentato da due figure stilizzate che si offrono, unite e inscindibili nella forma e nella sostanza, allo sguardo dello spettatore. Opere non solo come scrigni di emozioni ma come testimonianza, che culture diverse si possono compenetrare in tempi futuri e donarsi l’un l’altra, pur mantenendo ognuna la propria profonda identità. Le culture come organismi viventi che si rigenerano in continua osmosi tra codici propri e “altri”, conservando la preziosa memoria di quanto nel viaggio della Storia si ha conosciuto e assimilato.