Vasco Montecchi (1938) inizia a disegnare fin da giovane per riprendere poi negli anni Sessanta. Le sue prime opere sono astrazioni, ricordi di cose ed idee, sensazioni di vita vissuta con un profondo legame alla sua infanzia. L’incontro con il pittore e scultore Luigi Ferretti lo fa virare alla scultura, un profondo mutamento in cui l’artista deve ripartire come autodidatta, per impadronirsi di un linguaggio artistico ancora più complesso di quello dei pennelli. Sperimenta tecniche e materiali: dal legno, al bronzo, al cemento per arrivare alla scultura in pietra, sostanza che lo riporta idealmente in contatto con la sua giovinezza, con la cava di Castagneto di Baiso suo luogo di nascita.
Le sue figure sono volti scavati dalla fatica, senza mai un accenno di sorriso che ci riportano ad un mondo contadino fatto di duro lavoro. Sono volti graffiati, scavati, in cui domina la forza espressiva della materia che l’artista scalpella nel tentativo di dominare. Un materiale, la pietra, che percepisce particolarmente: “sentire il materiale”-afferma l’artista-“significa conoscerne la lavorabilità, la resistenza, significa amarne il colore, le venature, la compattezza”. A partire dal 1980 frequenta l’atelier di Luigi Corsanini ad Avenza di Carrara, trovando nel marmo la sua materia d’elezione. Un materiale aspro, difficile, che gli fa conoscere un duro lavoro con martello e scalpello, “un materiale nobile”-dice Montecchi - “che richiede in ogni fase della sua lavorazione una sensibilità del tutto particolare; mi ha catturato”.
Un’arte, quella di Montecchi, che ha sempre reso omaggio alle donne e agli uomini della montagna, ricca di impegno civile portato avanti con tenacia e passione. Opere che spesso hanno rafforzato l’identità degli spazi pubblici in cui si trovano collocate; figure antropomorfe appena sbozzate che si liberano dalla materia per rinascere e donare un messaggio di speranza e libertà.
